Con la definizione “maternità surrogata”, “gestazione per altri” (GPA) e “surrogazione di maternità” si intende un percorso di fecondazione assistita con il quale una donna porta avanti una gravidanza per un’altra persona o per una coppia.
Nel nostro ordinamento, l’art. 12, co. 6, della Legge 40/2004 dispone che “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.00 a un milione di euro”.
In Italia, pertanto, la maternità surrogata è vietata dalla suindicata norma – che disciplina anche la procreazione medicalmente assistita (PMA) – e già nel 2014 la Corte Costituzionale si è pronunciata stigmatizzando tale pratica che “offende in modo intollerabile la dignità della donna minando nel profondo le relazioni umane”, imponendo al legislatore di tutelare il superiore interesse del minore.
A distanza di anni, la Consulta è stata chiamata nuovamente ad intervenire su tale delicatissima fattispecie, in assenza di qualsivoglia determinazione da parte di un Parlamento forse troppo pigro in relazioni a tematiche sempre più attuali, nonché poco incline a raccogliere i cambiamenti già presenti in molti altri ordinamenti.
Con la recente sentenza n. 33 del 09/03/2021 la Corte Costituzionale afferma come l’interesse superiore del minore al riconoscimento del legame di filiazione anche con il genitore non biologico debba essere bilanciato con lo scopo legittimo dell’ordinamento a disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata, vietata e penalmente sanzionata.
La vicenda nasce dalla richiesta di una coppia omosessuale, unitasi in matrimonio in Canada, che ha praticato la maternità surrogata: l’embrione, formato dai gameti di una donatrice anonima e di uno dei due uomini, veniva impiantato nell’utero di un’altra donna, dalla quale è nato il bambino “consegnato” alla coppia richiedente.
Poichè nell’atto di nascita veniva indicato solo il padre biologico del minore, senza alcun riferimento al compagno (c.d. padre intenzionale), né alla madre surrogata né alla donatrice, la coppia adiva la Corte Suprema canadese la quale, accogliendo il ricorso, dichiarava entrambi gli uomini genitori del bambino.
Al rientro in Italia la coppia richiedeva il riconoscimento della sentenza canadese, concessa dalla Corte d’Appello di Venezia ma impugnata con ricorso per cassazione dall’Avvocatura dello Stato.
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, della legge 40/2004, sollevata dalla dalla I sezione della Corte di Cassazione ha riguardato lo stato civile dei bambini nati con la pratica della maternità surrogata, espressamente vietata dall’ordinamento italiano, ed in special modo l’inquadramento giuridico del legame con il genitore “intenzionale”, o non biologico, che condivide il progetto familiare senza aver dato il proprio apporto genetico.
Con la sentenza n. 12193/2019 le S.S.U.U. della Corte di Cassazione avevano escluso il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento straniero con cui era stato dichiarato il rapporto di filiazione tra il nato con maternità surrogata e il genitore intenzionale, motivando il rigetto con la contrarietà all’ordine pubblico in virtù del divieto espresso sancito dalla Legge 40/2004.
La Corte Costituzionale, confermando la contrarietà all’ordine pubblico della maternità surrogata – e ricordando la condanna di tale pratica anche da parte del Parlamento Europeo – pone nuovamente l’accento sulla necessità di tutelare maggiormente il minore a che venga riconosciuto il suo legame con entrambi i componenti la coppia genitoriale.
La sentenza fa espresso riferimento al dovere della coppia di esercitare responsabilmente il proprio ruolo nei confronti del minore, superando il concetto del “diritto alla genitorialità” senza ritenere prevalente le necessità del bambino.
Il punctum dolens è rappresentato dall’istituto giuridico adottabile, ed adattabile, al perseguimento di tale finalità e, a tal proposito, la Corte Costituzionale afferma come la tutela del minore possa realizzarsi anche mediante un procedimento di adozione effettivo e veloce che, però, sempre secondo la Corte, non può essere integrato dalla procedura di “adozione in casi particolari” di cui all’art. 44, co. 1, lett. d) della Legge 184/83 (qual è, ad esempio, l’adozione da parte dei singles).
Tale procedura non attribuisce la genitorialità all’adottante e richiederebbe, altresì, l’assenso del genitore biologico; per tali ragioni, la Corte ha sollecitato nuovamente il legislatore ad intervenire con una procedura di adozione ad hoc, al fine di mantenere in equilibrio i delicati interessi coinvolti.